domenica 27 febbraio 2011

SCIENZA E NUTRIA (Myocastor coypus) – 5

Si riporta l’abstract di uno studio eseguito in Pianura Padana. Insieme ad un altro studio che proporrò prossimamente, viene dimostrato ulteriormente come le nutrie non causino impatti devastanti ma molto localizzati e risolubili; come le nutrie non siano una causa ma solo una conseguenze delle cattive azioni umane; di come i piani di abbattimento siano inutili e inefficaci oltre che dispendiosi. Proprio l’uccisione indiscriminata di questi animali (che ricordiamo viene fatta solo per soddisfare quasi esclusivamente i capricci delle lobbies venatorie) favorisce il loro aumento numerico e il conseguente impatto ambientale.
Si incoraggiano le Amministrazioni a non cedere o farsi abbindolare dalle finte elucubrazioni di matrice politico-economica delle lobbies venatorie appunto, ma di investire le finanze in opere di gestione territoriale e faunistica da parte di veri scienziati (biologi, zoologi, faunisti, etc. indipendenti e senza conflitti di interesse). Solo così si può riprendere la fiducia della popolazione ormai stanca delle prese in giro di quel gruppo di individui che ragiona solo con la violenza e il piombo.

PRIMI DATI SULLA POPOLAZIONE DI NUTRIA (MYOCASTOR COYPUS) IN UN’AREA COLTIVATA DELLA PIANURA PADANA, LA VALLE DEL MEZZANO (FE)
di PAGNONI G.A., SANTOLINI R.

(fig. 1 – Coypu che nuota in un laghetto)

Nel Ferrarese si stimano le maggiori concentrazioni di Nutria Myocastor coypus della regione Emilia Romagna, pari a una popolazione di almeno 36000 individui. In questo lavoro, per l’analisi della struttura di popolazione si è scelto un’area di 40 ha rinaturalizzata a zona umida. Dal marzo 2003 al maggio 2004 sono state condotte 12 sessioni di cattura di circa una settimana ciascuna con gabbie. L’analisi dell’età é stata basata sul peso secco del cristallino. Nel Mezzano, i giovani (età < 8 mesi) sono risultati il 56% della popolazione e la coorte più rappresentata è quella degli individui con età compresa tra i 2 e i 4 mesi. L’età media di tutti gli individui catturati, calcolata secondo Cossignani e Velatta, è di 0,76 mesi superiore a quella stimata secondo Gosling e collaboratori. Visto il basso errore (3% dell’età massima), il metodo risulta sufficientemente adatto per analisi di tipo gestionale. Si nota una leggera differenza in peso tra maschi e femmine: 5 e 6 kg le classi più frequenti per le femmine a causa dell’elevata percentuale di individui gravidi, 4 e 5 Kg per i maschi. L’indice di condizione (IK) varia tra 34,1 a 45,2, con minimi nel periodo invernale e massimi nel periodo primaverile-estivo in conseguenza delle migliori condizioni ambientali e della maggiore disponibilità trofica. Mediamente oltre il 75% della popolazione femminile è in stato di gravidanza e tra marzo e giugno si raggiunge il 100%. La maggior parte dei parti avviene in tarda primavera ed estate ed un secondo picco si verifica all’inizio dell’inverno in relazione alle caratteristiche ambientali e alle condizioni meteorologiche. La dominanza maschile è evidente negli embrioni (M/F=1,23:1) e nelle classi giovanili (< 8 mesi, M/F=1,47:1). Col passare del tempo il rapporto sessi diviene paritario (negli adulti ≥ 8 mesi M/F=1,04:1) e nelle classi più anziane (>12 mesi) si comincia a vedere la preponderanza delle femmine con M/F=0,53:1. La porzione dei giovani della popolazione e la bassa percentuale di maschi nelle classi adulte sono probabilmente conseguenze della intensa pressione dei piani di limitazione. Ciò induce a considerare che un fattore limitante quale un’azione di contenimento, sia più efficace nel momento di crisi della popolazione, quale un inverno particolarmente rigido, in cui effettuare una forte e duratura pressione di selezione.

domenica 13 febbraio 2011

VOLPE E NUTRIA: DUE NOMI PER UN SIMILE DESTINO?

La volpe e la nutria, due animali così diversi sia da un punto di vista evolutivo che biologico, ma che la persecuzione umana ha reso molto simili.
Come per la lontra prima e la nutria poi, anche la volpe si vede costretta ad essere l’ennesima vittima della follia umana.
Prima di iniziare vediamo quali sono le caratteristiche che contraddistinguono da una parte e che accomunano dall’altra questi animali.

VOLPE
  • Predatore
  • Carnivoro
  • Cacciata per la pelliccia
  • Considerata nociva (in realtà non lo è)
  • Può scavare tane negli argini ma occupa spesso tane già esistenti
  • Si ciba di selvaggina e i cacciatori ed alcuni “allevatori” si lamentano. Gli stessi cacciatori che hanno importato spesso illegalmente conigli e altri animali inquinando geneticamente le specie autoctone con conseguente danno ambientale, naturalistico ed economico immane
  • Mercato nero per la pelliccia attualmente attivo
  • Dato che in alcuni luoghi le Amministrazioni hanno compreso che l’abbattimento della nutria è inutile e generalmente i castorini non sono causa di danni agli argini (la colpa è sempre dell’uomo come dimostrato più volte), alcuni “furboni” hanno pensato di rivalersi sulla volpe dichiarandola colpevole di creare danni agli argini, lo stesso movente (quasi mai dimostrato) per le nutrie!
Fig. 1 – Volpe (Vulpes vulpes)
NUTRIA:
  • Preda
  • Erbivoro
  • Cacciata per la pelliccia
  • Considerata nociva (in realtà non lo è)
  • Può scavare tane negli argini ma occupa spesso tane già esistenti
  • Si ciba di vegetazione e i “contadini” si lamentano
  • Mercato nero per la pelliccia (e la carne) attualmente attivo
Fig. 2 – Coypu o nutria insieme all’avifauna

Analizziamo ora un documento della Regione Emilia Romagna (guarda caso scomparso recentemente). Tali informazioni sono perfettamente assimilabili anche per la nutria e gli altri animali.


Meccanismi di autoregolazione della popolazione
Tutte le popolazioni animali possiedono meccanismi che tendono a mantenere il numero degli individui in equilibrio con le risorse ambientali disponibili. In termini estremamente sintetici, esiste un numero ottimale di individui a cui tende la popolazione in un dato territorio e che resterà invariato una volta raggiunto l’equilibrio. Il numero di individui della popolazione può diminuire drasticamente a seguito di eventi anormali di mortalità, quali epizoozie, eventi climatici o prelievo da parte dell’uomo, tuttavia il numero tenderà a riassestarsi verso l’equilibrio, una volta che cessi l’azione del fattore limitante. La velocità con cui la popolazione ricostituisce le dimensioni ottimali dipende da numerose caratteristiche proprie delle varie specie e delle varie popolazioni. Nel caso della volpe è stato più volte osservato come questa velocità sia elevatissima, grazie proprio ai parametri descritti in precedenza per le popolazioni volpine. Ad una riduzione della densità dovuta a fattori esterni la popolazione può rispondere essenzialmente attraverso tre modalità: l’aumento del tasso di natalità, la diminuzione del tasso di mortalità e l’aumento del tasso di immigrazione; risulta quindi evidente come l’elevata produttività, il rapido turn-over e l’esistenza di una cospicua frazione “itinerante” siano tutti elementi che consentono una rapida ripresa della popolazione di volpi in seguito a eventi che ne abbassino drasticamente la densità locale.



Aspetti gestionali
Il ruolo della volpe, sia dal punto di vista ecologico sia nell’ambito della gestione faunistico-venatoria, è stato oggetto di numerosissimi studi in tutto il mondo. D’altra parte, proprio per l’estrema capacità della volpe di adattarsi alle condizioni ambientali più diverse, i risultati e le conclusioni sono spesso di difficile generalizzazione. Sulla base degli elementi che emergono dall’imponente mole di dati disponibile è comunque possibile definire un quadro generale relativamente al ruolo ecologico della volpe e alle possibili strategie gestionali in funzione dei vari scenari ambientali e antropici.
Di seguito vengono discussi brevemente i principali problemi concernenti l’impatto sulla selvaggina e sulle attività umane, le tecniche di censimento, le problematiche legate al prelievo venatorio e al controllo delle popolazioni. Gran parte delle informazioni e delle considerazioni sono tratte da MacDonald (1987), Boitani e Vinditti (1988), Toso e Giovannini (1991), opere a cui si rimanda per una trattazione più dettagliata.


Censimenti e indici di abbondanza
La conoscenza della consistenza e della dinamica delle popolazioni naturali è un elemento imprescindibile per la loro corretta gestione, tuttavia le difficoltà tecniche e l’impegno necessario al raggiungimento di questi obiettivi possono essere estremamente variabili a seconda delle caratteristiche biologiche di ciascuna specie e delle condizioni ambientali in cui si deve operare. Nel caso della volpe, come di altri carnivori, è quasi sempre molto difficile raggiungere buone stime di densità, se non a prezzo di sforzi che risultano in genere improponibili. In particolare i censimenti diretti, cioè basati sull’avvistamento diretto degli animali, sono applicabili solo in condizioni estremamente favorevoli, che solo molto raramente si verificano (Sargeant et al., 1975), mentre più utilizzabili risultano metodi di stima indiretta della popolazione.



Controllo della popolazione volpina. Il problema del rapporto costi/benefici
In accordo con la L.N. 157/92 (art. 19), il controllo di popolazioni animali appartenenti a specie cacciabili può essere ammesso qualora queste arrechino danni alle produzioni zoo-agro-forestali ed ittiche. Nel caso della volpe la risorsa economica danneggiata è costituita quasi esclusivamente da animali di bassa corte allevati in maniera non confinata o in spazi di stabulazione non sufficientemente protetti. Alcune semplici ed economiche misure preventive possono ridurre sensibilmente, se non eliminare, i danni provocati dalla predazione delle volpi, ad esempio il ricovero notturno degli animali e la recinzione degli allevamenti con robusta rete metallica interrata e con la parte terminale sporgente verso l’esterno. Assai più complesso è il problema legato all’impatto della predazione sulle specie selvatiche d’interesse venatorio. L’effetto della predazione della volpe sulla selvaggina è infatti assai variabile in dipendenza di numerosi fattori locali. Ad esempio sia le densità del predatore sia quelle delle specie predate, la disponibilità e la dispersione di fonti di cibo alternative e, nel caso dei ripopolamenti, il grado di adattabilità degli animali immessi e le tecniche di rilascio utilizzate.
I dati ottenibili dagli studi sul regime alimentare della volpe forniscono informazioni puramente indicative, poichè, come è già stato evidenziato, tendono a valutare l’importanza relativa delle diverse specie preda nello spettro di predazione del carnivoro, ma non sono in grado di quantificare l’effetto limitante per le diverse specie predate. Da diversi autori la volpe viene indicata come la specie cui va ascritta in termini percentuali le maggiore predazione a carico di Anatidi, Galliformi e Lagomorfi, tuttavia anche questa constatazione non è di per sè sufficiente a chiarire l’importanza della predazione in rapporto ad esempio ad altri fattori limitanti.
In generale, sulla base dei dati disponibili, è possibile affermare che, almeno nel caso dei Galliformi, la predazione non influenza significativamente la densità delle popolazioni nel periodo preriproduttivo e di conseguenza le variazioni della consistenza media sul medio e lungo periodo, tuttavia può determinare una contrazione anche notevole della produttività, entrando localmente in conflitto diretto con gli interessi del mondo venatorio. [guarda caso, sono solo gli interessi economici che muovono le lobbies venatorie, non esiste in loro nessun accenno alla salvaguardia e alla tutela ambientale, sono solo loro ipocrisie. n.d.r.]


In definitiva quindi l’impatto sulla selvaggina della volpe, così come di altri predatori, seppur di difficile quantificazione, è stato confermato da vari studi, oltre ad essere peraltro intuitivo. In questo senso sembrerebbe pertanto più che giustificabile la posizione dell’ambiente venatorio, che considera il controllo della volpe come un importante strumento gestionale nell’ottica del miglioramento quali-quantitativo dei popolamenti della piccola selvaggina. In realtà, pur condividendo l’esistenza dell’ impatto predatorio esercitato dalla volpe, molti tecnici e studiosi di ecologia non concordano con questo approccio, infatti il punto di contrasto che spesso emerge con l’ambiente venatorio non sta nell’ammettere una certa pressione della volpe sulla selvaggina, quanto sulla reale possibilità di intervenire efficacemente per limitare tale pressione. Osservando i dati disponibili relativi alle campagne di abbattimento e controllo delle volpi non si può non notare come il numero di volpi abbattute si mantenga pressochè stabile per molti anni nelle stesse aree a parità di sforzo. Ciò indica chiaramente come il prelievo non abbia prodotto alcuna diminuzione della popolazione di volpe, la quale ha evidentemente compensato immediatamente le perdite subite grazie ai meccanismi di autoregolazione illustrati in precedenza. La cosa è ampiamente confermata dai ripetuti tentativi inesorabilmente falliti, di bloccare l’avanzata della rabbia silvestre, effettuati in tutta Europa per decenni, attraverso la riduzione delle popolazioni volpine in natura. In molte circostanze si hanno buone ragioni per sostenere che tali interventi di controllo abbiano in realtà provocato una accelerazione del fronte epizootico, proprio perchè l’eliminazione delle volpi residenti richiama altre volpi, spesso portatrici dell’infezione, da territori limitrofi. Solo attraverso campagne diffuse di vaccinazione delle volpi è stato possibile fermare l’avanzata della malattia, proprio perchè le volpi residenti, una volta vaccinate, costituiscono un fronte immune che impedisce a eventuali volpi infette provenienti da altre aree di assestarsi sul territorio e di estendere il contagio. In realtà i mezzi utilizzabili dal punto di vista tecnico e legale per il controllo diretto delle volpi non sono abbastanza efficaci da garantire il prelievo di una quota consistente della popolazione, a meno di un impegno, in termini di uomini, mezzi e denaro, decisamente sproporzionato in relazione ai possibili benefici. D’altra parte l’uso di mezzi non selettivi non è consentito dall’attuale legislazione italiana e pone, oltre a gravi ed evidenti problemi di tipo conservazionistico, anche problemi di sicurezza e di etica. Inoltre una ipotetica campagna di drastico controllo, oltre che realizzabile solo in aree molto limitate, dovrebbe mantenersi costante nel tempo, pena la vanificazione dei risultati non appena si allentasse la pressione. Ciò induce diversi autori a ritenere che un controllo di popolazione della volpe realmente efficace risulti virtualmente impossibile con il solo ricorso a mezzi strettamente selettivi (armi da fuoco) e mettendo in atto uno sforzo realizzabile nel contesto della gestione faunistica corrente.
Tutti questi elementi rendono scettici gli ecologi sulla reale convenienza, in termini di risorse impiegate e di risultati ottenibili, delle operazioni di controllo diretto della volpe, se non finalizzate al raggiungimento di obiettivi molto precisi e limitati nel tempo e nello spazio.
In effetti occorre ricordare che il controllo dei predatori e della volpe in particolare non è che uno degli strumenti in grado di agire sulla dinamica delle popolazioni di specie di interesse cinegetico. Ad esso infatti possono essere contrapposti altri interventi gestionali, riferibili qui genericamente come miglioramenti ambientali, i quali sono in grado di determinare un notevole aumento della densità media dei popolamenti di piccola selvaggina e, contrariamente al controllo dei predatori, producono effetti indotti di tipo ecologico, paesaggistico ed estetico positivi ed apprezzabili da parte della generalità dell’opinione pubblica.
Non va infine dimenticato che ogni modificazione stabile di una popolazione animale non può ottenersi che intervenendo sul suo habitat, agendo soprattutto sulle risorse alimentari disponibili. In questo senso predatori opportunisti come la volpe possono essere controllati assai più proficuamente attraverso misure indirette, tese cioè all’ inibizione dei fattori ecologici che stanno alla base dell’aumento locale delle popolazioni volpine, in particolare:
a) La graduale eliminazione delle discariche di rifiuti a cielo aperto o, quantomeno, la recinzione delle stesse a prova di animale;
b) L’eliminazione delle operazioni di ripopolamento intese come massiccio rilascio di selvaggina allevata piuttosto che come reintroduzioni operate su corrette basi tecnico-scientifiche.
c) L’eliminazione di tutte le fonti alimentari di origine antropica, quali le discariche abusive, soprattutto avicole, e quant’altro rappresenta scarto della produzione dell’allevamento.